Depressione e lavoro: i diritti del lavoratore depresso


La depressione è un disturbo dell’umore molto diffuso e ne soffrono circa 15 persone su 100. Si calcola che su 6 neonati, almeno uno soffrirà di depressione durante la sua vita. Il disturbo depressivo può colpire chiunque e a qualunque età. È in forte crescita il numero degli uomini che chiedono aiuto, ma la patologia del “male oscuro” resta un fenomeno al femminile: 3 pazienti su 4 sono donne (in pratica il 75% dei malati)

. Una sofferenza che tocca ogni fase della vita e va oltre l’appartenenza socio-economica: la prima adolescenza resta la fase più critica; le donne più esposte sono quelle con un carico familiare e lavorativo gravoso, che le rende vulnerabili, ma al contempo poco sostenute dallo Stato, dalla politica del lavoro e dalla famiglia stessa. I sintomi della depressione non cambiano, tra uomo e donna, quello che cambia è l’approccio alla malattia.

 Le donne partono dall’interiorità e dalla dimensione del dolore e della perdita soggettiva, e riescono a parlare delle proprie emozioni. Gli uomini, invece, pur avvicinandosi in maniera maggiore rispetto agli anni scorsi ai servizi di cura psichiatrici, guardano alla dimensione esterna della propria sofferenza, di ciò che non riescono più a fare bene: si lamentano soprattutto del calo delle prestazioni lavorative. Il dolore e la frustrazione per gli uomini toccano la sfera sociale e del successo. La paura più grande è quella di perdere il ruolo nella società, di sentirsi falliti, per esempio, perché non più in grado di garantire lo stesso tenore di vita alla famiglia .

In arrivo il boom depressione: prima causa di assenza dal lavoro

Il boom della depressione, come già segnalato dall’Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità), arriverà nel prossimo decennio fino a diventare nel 2030 la prima causa al mondo di giornate di lavoro perse per disabilità, superando il primato storico delle malattie cardiovascolari. Per questo motivo, la Sopsi (Società Italiana di Psicopatologia) ha lanciato un grido d’allarme, che non riguarda la dimensione farmacologica e terapeutica su cui si registrano enormi progressi, ma le emergenze sociali (quali la crisi economica dell’ultimo decennio, la disoccupazione giovanile, la povertà crescente ed il conseguente calo di autostima) che restano il primo fattore scatenante della depressione e di molti altri disturbi psichici.IL Covid !9 ha decisamente ampliato il fenomeno.

La depressione è una malattia?

La depressione è una malattia che può avere degli effetti devastanti in chi la soffre e, per questo, va tenuta nella stessa considerazione di qualsiasi altra infermità. Più nel dettaglio, quella che comunemente viene conosciuta come «depressione» è chiamata anche «disturbo depressivo maggiore» (Mdd -Major depressive disorder) e condiziona, oltre allo stato d’animo e di salute del soggetto, anche la sua vita familiare e sociale

. Le sue cause non sono del tutto conosciute ma si tratta, a tutti gli effetti, di una patologia invalidante e, come vedremo, garantisce alla persona malata di depressione alcuni diritti. Nei casi più gravi, da quello che viene definito «il male oscuro» può derivare una riduzione della capacità lavorativa, un handicap, ed addirittura la necessità di supporto negli atti quotidiani della vita. Diversa, ma altrettanto seria, la depressione reattiva, che si scatena di fronte ad un evento inatteso come un lutto, la perdita del lavoro, una delusione amorosa, una malattia

In questi casi appare più semplice identificare la causa, ma le conseguenze possono essere altrettanto devastanti, a seconda della capacità del soggetto di «uscire dal tunnel». Il sintomo soggettivo prevalente è la sensazione di essere inutile, negativo o continuamente colpevole e si può arrivare anche all’odio verso di sé e a pensieri ricorrenti di morte o di suicidio.

Depressione: malattia invalidante

Dunque, la depressione o Mdd (Major depressive disorder)  è una malattia invalidante. Le patologie psichiche, infatti, trovano apposito spazio nelle tabelle ministeriali sull’invalidità, in quanto malattie che nei casi più gravi possono rappresentare un handicap, una riduzione della capacità lavorativa che dà diritto a restare a casa previo certificato medico e preavviso del datore di lavoro.

Depressione e percentuali di invalidità?

Queste le percentuali di invalidità riconoscibili e per le quali è possibile inoltrare domanda all’Inps per il riconoscimento dello stato di invalido:

  • disturbo amnestico persistente indotto da sostanze): invalidità del 100%;
  • schizofrenia di tipo disorganizzato, catatonico, paranoide, non specificata – moderata: invalidità del 75%;
  • schizofrenia di tipo disorganizzato, catatonico, paranoide, non specificata – grave: invalidità del 100%;
  • schizofrenia residuale – moderato: invalidità del 75%;
  • schizofrenia residuale – grave: invalidità del 100%;
  • disturbo schizoaffettivo – grave: invalidità del 100%;
  • depressione maggiore, episodio ricorrente – moderato: invalidità dal 61 all’80%;
  • depressione maggiore, episodio ricorrente – grave: invalidità del 100%;
  • disturbo bipolare I – moderato: invalidità dal 61 all’80%;
  • disturbo bipolare I – grave: invalidità del 100%;
  • disturbo bipolare II e disturbo bipolare Sai – grave: invalidità del 75%;
  • disturbi deliranti (paranoia, parafrenia, delirio condiviso, altri): invalidità del 75%;
  • anoressia nervosa – grave: invalidità dal 75 al 100%;
  • ritardo mentale di media gravità: invalidità dal 61 all’80%;
  • ritardo mentale grave e profondo: invalidità del 100%.

I diritti al lavoro di chi soffre di depressione

Tra i diritti di chi soffre di depressione rivestono notevole importanza quelli al lavoro. Trattandosi di una patologia psichica, infatti, il medico curante può decidere di lasciare a casa in malattia un lavoratore affetto da depressione. In caso di assenza per malattia, l’iter da seguire è il seguente:

  • la redazione del certificato dal proprio medico curante ed invio dello stesso, telematicamente, all’Inps, entro il giorno successivo dal verificarsi della patologia;
  • il preavvertimento del datore di lavoro e successivo inoltro del numero di protocollo telematico del certificato (secondo accordi collettivi o individuali).

Ovviamente, il lavoratore dovrà rispettare le fasce di reperibilità per un’eventuale visita fiscale dell’Inps. Inoltre ci sono delle eccezioni :

  • nel caso in cui sia a rischio la vita del lavoratore;
  • in caso di infortunio sul lavoro;
  • in caso di patologia per cause di servizio;
  • in caso di gravidanza a rischio;
  • in caso di ricovero ospedaliero ed eventi morbosi correlati all’invalidità attestata (se dalla depressione deriva una riduzione della capacità lavorativa e l’assenza è provocata dall’acutizzarsi della patologia o di una malattia connessa);
  • se il lavoratore depresso, dovendo evitare lunghe permanenze in luoghi chiusi, esce di casa per partecipare ad un’attività ludica all’aperto .

Depressione e invalidità

Quando dalla patologia deriva una riduzione della capacità lavorativa, tra i diritti di chi soffre di depressione c’è quello all’invalidità. A seconda della gravità e del tipo di malattia depressiva, vengono riconosciute queste percentuali:

  • sindrome depressiva endoreattiva lieve: 10%;
  • sindrome depressiva endoreattiva media: 25%;
  • sindrome depressiva endoreattiva grave: dal 31% al 40%;
  • sindrome depressiva endogena lieve: 30%;
  • sindrome depressiva endogena media: dal 41% al 50%;
  • sindrome depressiva endogena grave: dal 71% all’80%;
  • nevrosi fobico ossessiva e/o ipocondriaca di media entità: dal 21% al 30%;
  • nevrosi fobico ossessiva lieve: 15%;
  • nevrosi fobico ossessiva grave: dal 41% al 50%;
  • nevrosi ansiosa: 15%;
  • psicosi ossessiva: dal 71% all’80%.

Affinché venga riconosciuta l’invalidità, chi soffre di depressione deve fare richiesta all’Inps (tramite servizi online, contact center o patronato) e sottoporsi all’esame di un’apposita commissione medica.

Da ricordare che l’assegno d’invalidità ordinario è riconosciuto per riduzione della capacità lavorativa a meno di un terzo (quindi per invalidità superiori al 67%), in presenza dei requisiti contributivi (5 anni di contribuzione, almeno 3 anni di contributi versati nell’ultimo quinquennio). L’assegno viene calcolato, al pari della pensione, sulla contribuzione versata (quindi col metodo retributivo o contributivo, a seconda della collocazione temporale dei contributi, e del possesso, o meno, di 18 anni di anzianità contributiva al 31 dicembre 1995).

Inoltre, i lavoratori con invalidità civile riconosciuta in misura superiore al 45%, hanno diritto al Collocamento Mirato, che consiste nell’accesso ai servizi di sostegno dedicati, e nell’iscrizione alle liste speciali, secondo quanto previsto dalla Legge.

Lavoratore depresso e Legge 104

Chi, a causa della depressione, soffre di un grave handicap mentale, motorio o sensoriale tale da impedire o limitare notevolmente l’integrazione sociale, lavorativa, personale e familiare ha diritto ai benefici relativi a questo stato, e cioè:

  • ai permessi retribuiti riconosciuti dalla Legge 104 (diritto di assentarsi per 3 giornate mensili);
  • alla scelta della sede di lavoro;
  • a rifiutare un trasferimento;
  • alle agevolazioni fiscali (acquisto dell’auto, acquisto di pc e sussidi informatici, detrazione delle spese di assistenza, deduzione delle spese mediche e di assistenza specifica). 

Depressione e assegno di accompagnamento

Tra i diritti del lavoratore depresso vi è quello relativo alla percezione dell’assegno di accompagnamento. L’assegno di accompagnamento, tuttavia, spetta solo nel caso in cui il lavoratore non riesca a compiere gli atti della vita quotidiana senza l’aiuto di una persona che lo assiste. L’importo mensile dell’indennità di accompagnamento  è pari a 516,35 euro;  l’importo annuale è dunque pari a 6.196,20 euro, in quanto la prestazione spetta per 12 mensilità e non si ha diritto alla tredicesima.Dal 1 gennaio 2022 saranno da calcolare gli aumenti previsti dallo stato per le pensioni.

Lavoratore depresso e pensione anticipata

Se dalla depressione deriva una certa percentuale di invalidità, è possibile chiedere la pensione anticipata. Ecco i requisiti:

  • se il lavoratore depresso possiede un’invalidità superiore al 74%, avrà diritto a 2 mesi di contributi figurativi aggiuntivi l’anno, fino ad un massimo di 5 anni;
  • se il lavoratore depresso possiede un’invalidità superiore all’80%, potrà anticipare la pensione di vecchiaia. Per l’accesso al trattamento sono necessari almeno 60 anni e 7 mesi di età per gli uomini e 55 anni e 7 mesi per le donne, con almeno 20 anni di contributi. L’anticipo, però, non è valido per i dipendenti pubblici. 

Il lavoratore depresso può essere licenziato?

Tra i diritti di chi soffre di depressione c’è anche quello di mantenere il proprio posto di lavoro, cioè di non essere licenziato per la sua patologia. Lo ha stabilito la Cassazione  dichiarando inefficace un licenziamento nei confronti di un dipendente che ha disturbi di ansia, attacchi di panico o che sia emotivamente fragile in modo esasperato. Non solo: la Suprema Corte lo ha dichiarato illegittimo nonostante sia stata omessa la tempestiva comunicazione della malattia. Il lavoratore, infatti, è tutelato in questo caso dal contratto collettivo che impedisce di prendere questo tipo di provvedimento di fronte ad una patologia caratterizzata da ansia e panico