Psiconcologia: tra aspetti psicologici nel malato oncologico e richiesta di supporto


Psiconcologia: far emergere i bisogni psicologici e di rispondere a questi è un aspetto fondamentale della presa in carico del paziente oncologico

L’evento cancro coinvolge numerosi aspetti della vita della persona, a partire dal momento diagnostico ai successivi controlli ed sono numerose le ripercussioni psicologiche che si hanno sul paziente oncologico e sulla sua famiglia.

In uno studio longitudinale è stato indagato l’impatto della diagnosi di cancro sull’aspetto psicologico del paziente, dividendo il campione in tre categorie: due anni prima della diagnosi, entro i due anni dalla diagnosi e i successivi quattro. La ricerca ha considerato variabili quali la qualità di vita, le difficoltà quotidiane, l’ansia e la depressione. Come si può immaginare, l’impatto della diagnosi ha comportato un maggior declino della salute percepita, maggiori difficoltà quotidiane riportate e livelli di ansia e depressione considerevolmente superiori alla norma.

 Sono stati riportati molti problemi funzionali come dolore, stanchezza e spossatezza che influiscono sul portare a termine il lavoro, sugli hobby, sulle attività quotidiane e nel partecipare alle relazioni sociali. È stato riportato come molto frequente il sentimento di riorganizzazione della propria vita intorno al sintomo.

Riassumendo, emerge evidente come l’evento cancro comporti un susseguirsi di emozioni che si ripercuotono sul soggetto stesso, sulla famiglia, sugli amici e sugli operatori sanitari, portando ad una reciproca influenza che riguarda sia il paziente sia l’ambiente a lui vicino.

Esistono fasi nella elaborazione della malattia oncologia?

 Le cinque fasi riportate rappresentano in maniera chiara le reazioni del paziente alla patologia e costituiscono un punto cardine nella realtà clinica poiché, anche se non è evidente che si susseguano in un ordine specifico, permettono di identificare i bisogni sottostanti del malato e di favorire un adeguato sostegno e intervento dove richiesto e opportuno.

1) La negazione: questa fase è frequente nel momento della diagnosi e rappresenta un meccanismo di difesa attraverso il quale le persone cercano di proteggersi dagli effetti di una malattia. La persona può comportarsi come se la patologia non fosse grave o, nei casi più estremi, come se non fosse successo; il paziente può infatti negare di avere una malattia malgrado i risultati diagnostici. La negazione rappresenta una fase normale attraverso la quale il soggetto prende inizialmente distanza dalla possibile prospettiva della propria morte, tuttavia se persiste e si irrigidisce può necessitare di un intervento psicologico.

2) La rabbia: questa è la seconda reazione che il paziente può avere di fronte alla prospettiva della propria morte. La rabbia può essere espressa direttamente verso le persone che lo circondano come il personale sanitario, la famiglia ed amici, poiché in salute ad esempio, o indirettamente esprimendo amarezza. Si può frequentemente ironizzare sul fatto che molte cose non  si potranno più fare, sul deterioramento fisico o fare battute pungenti sul tema della morte. Non è infrequente che il paziente si chieda come mai sia capitato a lui e sperimenti un invidia verso persone che siano in salute o che siano guarite da malattie. La rabbia può essere rivolta verso i familiari ed è importante che la normalizzi e contestualizzi tali emozioni.

3) La trattativa: il paziente può abbandonare la rabbia in favore della trattativa, ovvero la convinzione che se eseguirà atti moralmente giusti ed etici avrà in cambio la salute. Eventi come doni di beneficenza o comportamenti insolitamente piacevoli possono essere un indizio di questa fase, perciò si ha una negoziazione tra buona condotta in cambio di buona salute.

4) La depressione: in questa fase il paziente riconosce che può fare ben poco per tenere sotto controllo la malattia. Questa realizzazione coincide con un brusco calo di umore, peggioramento dei sintomi, aumento della stanchezza, fatica e dolore. È difficile distinguere tra i sintomi derivanti dalla depressione e quelli derivanti dal trattamento farmacologico o dalla malattia, perciò è importante un’adeguata distinzione clinica tra le due. Si identifica questa fase come la fase del “lutto anticipatorio”, dove i pazienti “piangono” la prospettiva della loro morte, anticipano la perdita di relazioni e di attività future.

5) L’accettazione: ultima fase degli stadi riportati rappresenta una presa di coscienza globale della propria morte, dove il paziente può essere troppo stanco per essere arrabbiato e troppo abituato alla malattia per essere depresso.

L’accettazione non è detto che sia pacifica e comprenda uno stato di calma, ma alcuni pazienti usano questo tempo per fare preparativi, decidere come suddividere i loro beni e come passare il tempo rimasto con i familiari

La malattia di una persona sconvolge i ruoli familiari, i quali possono divenire iperprotettivi ed imporsi standard elevati nella cura del paziente, assumendo un’elevata responsabilità nei suoi confronti; se il lavoro non è flessibile possono prendere giorni di ferie o di malattia, riorganizzandosi in funzione del malato. Identificare i familiari “assistenti” che sono in difficoltà ed integrarli nel percorso di sostegno  psiconcologico rappresenta un punto fondamentale della presa in carico globale del paziente, in quanto supportare i familiari è di notevole importanza per il paziente e per un percorso di cura più efficace e meno doloroso.

Pazienti diversi, soluzioni diverse

Gestire l’ansia e lo stress psicologico legati al tumore non è sempre facile: dipende dall’entità del problema e anche dall’indole di ciascuna persona. Ciò che è certo è che non esiste una formula che possa andare bene per tutti.

Conservare un certo equilibrio e benessere psicologico è per esempio più semplice quando è possibile continuare a mantenere la propria routine (di lavoro, sociale, eccetera) anche in presenza del tumore, anziché isolarsi dal punto di vista sociale.

Un passo importante è parlare con il proprio medico curante, con l’oncologo e con uno psicologo o psichiatra specializzato in questo tipo di problemi e proporre soluzioni adeguate. Medico e oncologo potranno invece aiutare a gestire meglio gli effetti avversi delle terapie e a rendere meno pesante il trattamento (per esempio prescrivendo farmaci contro la nausea o per controllare il dolore), un aiuto che si può tradurre anche in maggiore benessere psicologico.

In alcuni casi possono essere utili sessioni di rilassamento, gruppi di supporto, ma anche yoga, meditazione ed esercizi di respirazione, senza dimenticare il ruolo fondamentale di amici e familiari.

Infine, psicologi e psichiatri possono lavorare più direttamente su ansia e stress. La psico-oncologia – la disciplina che si colloca come interfaccia tra l’oncologia da un lato e la psicologia e la psichiatria dall’altro – trova oggi spazio in molti centri di cura oncologici italiani, come si legge nel sito della Società italiana di psico-oncologia (SIPO), nel quale è possibile anche trovare un elenco dei centri attivi sul territorio nazionale.

“Il trattamento del paziente oncologico deve avere come obiettivo principale migliorare la qualità di vita e limitare il rischio di conseguenze psicopatologiche che condizionino la vita futura del malato” si legge sul sito SIPO.